In tal modo diventa possibile il perseguimento di diverse finalità:
- Finalità puramente ludiche, per cui il paziente va incontro al cosiddetto "effetto pausa”, che comporta la riduzione del livello di angoscia percepita tramite una temporanea defocalizzazione dai propri vissuti, spesso percepiti come "loop" ossessivi che non danno tregua;
- Finalità catartiche, come effetto di un allentamento della tensione emotiva grazie al contemporaneo processo di immedesimazione e distacco promosso dalla visione cinematografica;
- Finalità espressive, laddove la visione del film e la successiva rielaborazione in gruppo consente di dare "figurabilita'" ad una serie di emozioni ‘grezze’ caotiche e disorganizzate, che dallo "stato brado" acquistano "pensabilita'" in una gestalt che è prima di tutto visiva (nell'immagine, attraverso un processo più intuitivo nel senso del preconscio) e successivamente verbale nell'interazione gruppale, dove le parole diventano veri e propri contenitori simbolici per rappresentazioni di idee fortemente investite di affetti, evitandone così la scarica sul funzionamento somatico o sull'azione;
- Finalità di riconoscimento e appartenenza grazie alla funzione di specchio svolta dalla pellicola, come il bambino di winnicottiana memoria, che scruta il volto della madre per scorgere se stesso, e così facendo getta le basi profonde del senso di se'; ma lo specchio, per restituire un'immagine coerente e significante, deve prima di tutto essere libero di rifletterla: uno specchio opaco o appannato, come una madre depressa, o invasiva o troppo assorbita dai propri pensieri, non sarà in grado di riflettere l'immagine o la deformerà, per cui il bambino non arriverà ad una conoscenza di sé e degli altri come entità distinte e separate, non imparerà a comprendere e a regolare le proprie emozioni, ripiegandosi su se stesso in una condizione patologica di estraniamento, solitudine e disperazione; per tali ragioni diviene fondamentale anche la selezione accurata della pellicola da proporre momento per momento, come espressione della capacità di empatia e sintonizzazione con i reali bisogni dell'utenza, sia che si prediliga l'atmosfera emotiva comunitaria in generale, sia che si scelga la focalizzazione su un singolo (sulla base di una serie di priorità cliniche), ma sempre come mediatore e catalizzatore di esperienze e vissuti comuni;
- Finalità socializzanti, come possibilità di condivisione intima su aspetti e argomenti fonti di disagio, attraverso la schermatura offerta dal "terzo" cinematografico, permettendo quindi di lavorare su temi dolorosi da una distanza di sicurezza;
- Finalità trasformative, nel momento in cui l'utente può identificarsi con i personaggi e le storie narrate e servirsene come modelli per gestire le situazioni difficili, fornendo, tramite l'interiorizzazione di scene significative, delle importanti risorse per strategie di coping alternative e più funzionali;
- Finalità transizionali, per cui lo spazio scenico si pone come "cerniera" tra il blocco compatto, e talora angosciante, della realtà, e quello della pura soggettività. Seguendo Winnicott, infatti, il bambino vive inizialmente in una realtà costruita soggettivamente, dove tutto (compresa la madre) è sotto il suo controllo onnipotente, per poi trovarsi, crescendo, a dover abbandonare questa visione edonistica abbracciando una visione della realtà oggettivamente condivisa, dove la madre esiste indipendentemente dalla sua volontà. Tuttavia, tra le due forme di realtà ne esiste una terza, lo spazio transizionale, come quello del gioco, che permette al bambino di spostarsi verso uno spazio oggettivo condiviso, senza esserne traumatizzato, ammortizzandone il passaggio (pensiamo ad alcuni cuccioli di animale che giocano a fare la "lotta" e così facendo preparano il futuro comportamento predatorio). In altre parole, tutte le volte che un oggetto (ad es. un film), si pone come rappresentativo sia del mondo interno, sia di quello esterno, diviene uno strumento che, nel suo appartenere contemporaneamente ad entrambe le sfere, consente, attraverso un processo di identificazione, di aprirsi all'esterno senza incorrere immediatamente nell'impatto con le conseguenze. Nel processo di immedesimazione durante la proiezione della storia, infatti, diviene possibile, ad esempio, fare esperienza di comportamenti "nuovi" che nel reale il soggetto non ha il coraggio di esprimere per senso di inadeguatezza, per timore di fallire, o di andare incontro a conseguenze imprevedibili, e così facendo si riappropria di parti di se' altrimenti inibite o coartate.
- Finalità specifiche nella cura dei disturbi del comportamento alimentare: oltre a tutte le valenze summenzionate, non bisogna dimenticare che, nel caso specifico dei disturbi alimentari, la natura ripetitiva del comportamento sintomatico, rivela una coazione a ripetere assimilabile ad una pulsione di morte, dove sono l'appiattimento e la paralisi a fare da padroni, e che risultano scompaginati dall'irruzione sulla scena filmica di elementi inattesi, imprevedibili e dinamici, che mutano continuamente la situazione, e permettono al paziente di incontrare se stesso nelle sue molteplici sfaccettature, aprendo ad un orizzonte dinamico di progettualità e trasformazione. In secondo luogo, il gruppo di Cinematerapia si porrebbe come strumento terapeutico in grado di neutralizzare il pericolo, insito in una situazione di psicoterapia individuale, di ritrovarsi invischiati, per alcune categorie di pazienti, in un rapporto di eccessiva vicinanza e dipendenza dalla figura del terapeuta, diluendone gli affetti in transfert molteplici che riguardino il contesto allargato degli altri membri del gruppo e dei personaggi cinematografici stessi.
Se dunque sono questi i presupposti teorico-clinici dai quali nasce l'impiego della Cinematerapia nel contesto comunitario, la nostra esperienza nella struttura terapeutica di "Città Giardino" dimostra, a nostro avviso, l'importanza di uno spazio creativo che rimetta in circolo energie vitali, troppo a lungo appiattite e corrose dalla distruttivita' stereotipata del sintomo. Qualcuno diceva:“Dopotutto, domani è un altro giorno”...
Questi, a titolo d'esempio, alcuni dei titoli visionati in gruppo:
Se Dio vuole (Edoardo Falcone, 2015)
La migliore offerta (Giuseppe Tornatore, 2013)
La bellezza del somaro (Sergio Castellitto, 2010)
Les choristes (Christophe Barratier, 2014)
Mustang (Deniz Gamze Erguven, 2015)
La pazza gioia (Paolo Virzì, 2016)
Mio fratello è figlio unico (Daniele Lucchetti, 2007)
Up (Pete Docter, Bob Peterson, 2009)
Little miss sunshine (Jonathan Dayton, Valerie Faris, 2006)
Nessuno si salva da solo (S.Castellitto, 2015)
Emotivi anonimi (Jean-Pierre Amerìs, 2010)
Dobbiamo parlare (S.Castellitto, 2015)
Dott.ssa Tullia Cianchelli psicologa-psicoterapeuta